Su La Repubblica di oggi 1 ottobre 2013, a p. 19 compare un articolo siglato V. N., dal titolo La svolta della Bonino: “non è accertata l’innocenza dei due marò”; in questo articolo è riportata la seguente affermazione, qualificata come «apparentemente banale e quasi dovuta dello staff del ministro degli Esteri Emma Bonino»:
«Non è accertata la colpevolezza, e non è accertata l’innocenza.
I processi servono a questo».
In realtà, l’affermazione non è banale (e non si capisce
perché l’articolista la considera «quasi dovuta», checché abbia voluto die con
questa oscura precisazione); al contrario, quell’affermazione è piuttosto grave
e notevolmente rozza; i processi, nei paesi democratici, nei quali vige il
principio di non colpevolezza fino a sentenza passata in giudicato, servono per
accertare la colpevolezza degli imputati; non servono, invece, ad accertarne l’innocenza
e sarebbe oltremodo vessatorio se a questo servissero.
È grave e, più che grave, singolare che una signora con
funzioni di Ministro degli Esteri, che proviene dal partito radicale, corifeo
della libertà quanti altri mai, riveli questa rozza cultura del processo che è
più omogenea con quella vigente dove e quando ha operato l’Inquisizione o dove
operano i totalitarismi. Sarebbe auspicabile una presa di distanza da questa
affermazione.
Indipendentemente dal resto, dei due militari Girone e Latorre
l’autorità giudiziaria indiana deve limitarsi a dimostrare la responsabilità
per la morte del pescatore ucciso e, di conseguenza, che essi ne hanno la colpa.
Tutto qui. Se la nostra Ministra degli Esteri — la quale, per le verità, non si
sa bene come ammazzi il tempo — si limitasse a richiamare questo semplice e
limpido principio, senza lasciarsi andare, lei stessa o i suoi collaboratori ad
affermazioni avventate, illogiche o autolesioniste, comunque inopportune e
culturalmente rudimentali sulla funzione del processo, sarebbe tanto di
guadagnato e comunque, sarebbe più dignitoso per la nostra disgraziata
Repubblica.
E ciò dico facendo astrazione dall’opinione che
ciascuno di noi possa avere su questa scabrosa e irritante vicenda.